“Israele ci sta rendendo schiavi, Francesca Albanese va tutelata”, parla Anna Foglietta

La manifestazione
Alla manifestazione indetta dall’ordine dei Giornalisti c’era anche l’attrice romana, che a L’Unità spiega perché non riesce “a far più altro che occuparsi di Palestina”

C’era anche Anna Foglietta ieri a Roma, in piazza Santi Apostoli. Mentre i giornalisti si alternavano sul piccolo palco allestito per l’occasione – una manifestazione indetta dall’Ordine per ricordare il giornalisticidio in corso a Gaza, con la lettura di tutti i nomi delle persone del mondo dei media uccise nella Striscia – l’attrice romana è arrivata in piazza, occhiali da sole, sciarpa al collo. Ha aspettato il suo turno e ha letto due dei nomi di quel lunghissimo e triste elenco. D’altronde non poteva mancare, non ieri. Lei che dell’attivismo ha fatto una missione con la sua associazione “Every Child is My Child”, che dal 2017 opera nei territori di guerra. Lei che alla Mostra del Cinema di Venezia, appena qualche giorno fa, ha fatto il suo ingresso a bordo di una lancia con l’artista Laika, sventolando la bandiera della Palestina. Che poi è stata sequestrata dalle forze dell’ordine, insieme all’opera d’arte “Sumud”, che Laika aveva dipinto sulla barca. E che era un chiaro riferimento – e segnale di appoggio – alla missione della Flotilla: l’opera raffigura una donna palestinese che con il dito puntato mostra la rotta.
Anna Foglietta, torniamo a quello che è successo a Venezia. La conduttrice della Mostra, Emanuela Fanelli, aveva detto che sul tema, nel suo ruolo istituzionale, non riteneva opportuno esprimersi dal palco della serata inaugurale. Io per natura sono una persona rispettosa, quindi non posso permettermi di entrare in quello che è il sentire di un’altra persona, non lo farei mai. Ma posso parlare di quello che è il mio sentire, del perché io non riesco più a far altro che parlare di Gaza. Cosa che non faccio da oggi, sono presidente di un’associazione dal 2017, e ci siamo spesi per i diritti dell’infanzia del popolo siriano, ucraino, ma anche italiano. Non possiamo che farlo per i bambini palestinesi e gazawi, per il popolo palestinese.
Quanto è stato importante arrivare a Venezia con la bandiera della Palestina? Tantissimo. Tantissimo perché quello è un palcoscenico internazionale. E infatti stanno succedendo cose importanti: 1300 attori hanno firmato un documento, in America, in cui hanno dichiarato che non intendono lavorare con nessuna produzione che ha rapporti con Israele. Questo è quello che dobbiamo fare: boicottare. Boicottare è uno strumento politico dal basso che è fondamentale e che dobbiamo utilizzare. In questo momento è l’ultima grande risorsa che ci rimane.
A Venezia è stato presentato anche “The voice of Hind Rajab”, il film della regista tunisina Kaouther Ben Hania che racconta la storia di una bambina palestinese uccisa durante un’operazione dell’esercito israeliano. Ho parlato con la regista, con gli attori. E ricordo che non stiamo parlando di un film, ma di un documento. Le cose pubblicate sui social sono effimere, quello invece è l’ultimo documento del tempo che stiamo vivendo.
La sua sensibilità per la questione palestinese, diceva, non nasce oggi. La causa palestinese è nel mio cuore da tempi non sospetti, da quando ero una giovane studentessa liceale. L’umanità tutta rischia di perdersi se noi in questo momento non ci focalizziamo solo e soltanto su quello che il popolo palestinese sta perdendo. Perché la carta dei diritti internazionali è stata stracciata, la carta dei diritti dell’infanzia non esiste più. E questo è un precedente pericolosissimo. Come esseri umani e come cittadini non ci rendiamo conto di quello che rischiamo di perdere. Oggi vige una forma di distrazione da tutto, per questo il compito di noi artisti è importante: possiamo fare da megafono. Certo, per farlo serve credibilità, consapevolezza degli strumenti che si hanno per poterne parlare e farlo con coscienza.
Lei crede di avere questi strumenti? In questo momento io mi sento pronta a farlo, perché c’è tutto uno storico dietro. Con la nostra associazione abbiamo dei progetti a Gaza, abbiamo stilato un accordo con il Nasser Hospital due giorni prima che fosse bombardato da Israele con un attacco che ha ucciso quattro giornalisti. Abbiamo un ultimo ospedale pediatrico oncologico pubblico in Cisgiordania. Per me è una questione di vita o di morte, perché tutto quello che io sto investendo in questo momento lo sto investendo lì. Per me è di prioritaria importanza che la gente sia sensibile sulla tematica perché, ripeto, se un bambino deve essere ucciso volontariamente, deliberatamente, colpito dai cecchini a testa e cuore mentre va a prendere da mangiare, è tutto finito. Come dice anche il nome dell’associazione, ogni bambino è il nostro bambino. Altrimenti non siamo genitori di nessuno.
Il nostro governo però non sembra voler fare passi concreti per Gaza. Non parlerei solo del nostro governo, c’è un silenzio abbastanza generale su quello che sta succedendo in Palestina. Sono poche le persone che davvero si stanno occupando della causa e che lo fanno a pieno titolo e in totale coscienza.
Nel frattempo la relatrice speciale Onu Francesca Albanese subisce le sanzioni degli Stati Uniti in risposta alle accuse mosse a funzionari di Usa e Israele presso la Corte penale internazionale. Francesca Albanese va protetta. Va tutelata. Questo è il prossimo grande impegno che ci dobbiamo prendere nel difendere una persona che, con grande coraggio, ha denunciato in tempi non sospetti quello che Israele stava facendo al popolo palestinese e quello che Israele sta facendo a livello internazionale: ci sta rendendo schiavi. Ci sta togliendo la libertà. E questo dobbiamo profondamente e intimamente capirlo.
l'Unità